All’interno della spettacolare scenografia del palazzo Reale di Milano, in quegli spazi intaccati dal fuoco bellico del 1943, si può godere della personale di Amedeo Clemente Modigliani. Mostra elegantissima e ricca di opere, tra le superstiti alla furia devastatrice, che sfocia in veri e propri raptus, dove l’artista distrugge dipinti e getta nei fossi le sculture. Episodi che passeranno anche alla storia come la leggendaria beffa di Livorno. In questa sede si potrà capire come il linguaggio di Modì sia, non solo personalissimo, ma molto erudito, ricco di spunti e influenze del passato interculturale e anche italianissimo.
Il 24 gennaio 1920 Modigliani si spegne. Nella notte del 25 gennaio Janne Hebuterne, compagna dell’artista, si getta da una finestra del quinto piano e muore incinta del suo secondo figlio. Nasce la leggenda: Modigliani è l’artista maledetto del XX secolo.
La sua vita è molto diversa da quella dei suoi contemporanei. Cagionevole di salute fin da bambino, accusa una deficienza polmonare notevole che nel 1901, all’età di diciassette anni, lo porterà a contrarre la tubercolosi. In precedenza era stato affetto da diverse pleuriti. Il fisico debilitato non gli consente di frequentare le lezioni nelle aule scolastiche. La sua educazione si forma quindi grazie agli insegnamenti di una famiglia decisamente colta, di fede ebraica e di tenore non troppo elevato. Passa le giornate immerso nei libri, assiste e partecipa ai discorsi degli adulti, si avvicina alla poesia e soprattutto a Dante. Intrattiene lunghe conversazioni con il nonno Isaac Gasin, uomo di intelligenza e morale superiori e di rigidi principi, che vanta addirittura, tra i suoi antenati ,Spinoza e ha una spiccata tendenza alla speculazione filosofica.
Durante il delirio di una febbre tifoidea esprime il desiderio di intraprendere la carriera artistica, e di evitare il liceo. La madre Eugenia decide di accontentarlo affidando la sua formazione al maestro Guglielmo Micheli, allievo di Fattori. Nell’atelier dell’artista trova un amico: Oscar Ghiglia, scopre la bohème, il tabacco e le donne.
Dell’infanzia non si conserva quasi nulla, ad eccezione di una breve conversazione epistolare con l’amico Ghiglia:“noi artisti abbiamo dei diritti diversi dagli altri… non dobbiamo consumarci nel sacrificio, il dovere reale è di salvare il sogno.. abituati a mettere i tuoi sogni estetici al di sopra dei doveri degli uomini”.
Le lettere sono redatte durante un viaggio di convalescenza intrapreso con la madre verso il sud Italia. Inutile dire l’importanza delle scoperte qui fatte e che avranno numerosissime ripercussioni nella scultura, nei volti greco-arcaici o negli influssi etruschi. Da Livorno all’Italia del Sud, a Firenze, Venezia e finalmente a Parigi.
Nell’arco di qualche anno 1909-14 si sviluppa e si compie l’avventura dell’artista scultore. La sua precoce passione nasce in seguito a un viaggio a Pietrasanta, patria dei marmi michelangioleschi. Solo l’incompatibilità del mestiere, sempre a contatto con le polveri sottili ne interromperà precocemente il cammino. Il secondo motivo che lo costringe al forzato abbandono sarà per assecondare le esigenze del suo secondo giovane mercante: Paul Guillaume, il quale vede la pittura molto più vendibile e anche più facile da gestire. La rinuncia comprende il suo progetto più ambizioso: l’edificazione di un tempio dedicato alla Voluttà. Non smetterà mai di disegnare e dipingere, ma proprio nella scultura ripone le speranze di sfondare nel mercato parigno. Fondamentali per la sua evoluzione artistica saranno: la sezione egizia al Louvre, la mostra temporanea di arte etnografica al Trocadero e la conoscenza con Costantin Brancusi. Quest’ultimo gli insegnerà il procedimento di lavorazione a “levare”. Attraverso l’esperienza della scultura maturerà un’originale concezione del proprio repertorio stilistico fatto di arcaismo, ieraticità, raffinatezza, eleganza e purezza formale.
Molti dipinti e disegni di questo periodo sono proprio una sorta di scultura in economia. La situazione di indigenza permanente non consente all’artista di comprare i blocchi di materiale e quindi cerca di “arrangiarsi”. Famosi episodi sfociamo nella leggenda. Si racconta di come numerosi artisti, tra cui Modigliani stesso, fossero soliti sottrarre la preziosissima pietra, di notte, nei cantieri della nascente metropolitana. Uno di questi episodi vuole che, una notte, Modì si fosse cimentato in una scultura in loco ma, il mattino seguente, questa fosse scomparsa impietosamente tra le fondazioni di una galleria.
Una summa delle ricerche fino ad allora condotte si ritrova nella testa di donna conservata al museo di arte moderna di Parigi. La scultura fu subito acquistata da Guillaume. Alta 58 cm. presenta evidenti analogie con quelle dipinte negli stessi anni: il collo fragile, il volto dall’ovale marcato, i grandi occhi a mandorla a fior di pelle, la fronte bassa e rotonda incorniciata dai capelli, la caratteristica spinta verticale della gola, delle gote, del naso, delle orecchie. In altre parole si riconosce lo stesso canone, che ci ricorda come il toscano fosse conterraneo dei senesi trecenteschi, di Botticelli, Bronzino, Primaticcio e,ancora più sorprendentemente vicino al Parmigianino, un esempio tra tutti la Madonna dal collo lungo di quest’ultimo. Modì elabora una creatura superiore, che emana il suo essere divino. Se in certi quadri l’allungamento può sembrare solo eleganza e ricercatezza, qui la verticalità inevitabile rinuncia a qualsiasi preziosismo per trasformasi in segno e potenza di vita vera, fortemente spirituale. Alla spiritualizzazione della materia contribuisce anche l’abbassamento delle palpebre, che rende il personaggio prigioniero del proprio segreto e, il contrasto, decisamente insolito tra i lineamenti essenziali e la bocca decisamente sensuale. Il contrasto fa pensare a nuove fonti: il nostro medioevo, la Cina, Cambogia, India e Asia centrale.
La storiografia di Modigliani è punteggiata di sorprendenti scoperte. Morto in assoluta povertà e acquisito un successo indiscusso solo recentemente, capita che, molti documenti ricompaiano quasi miracolosamente grazie alla tenacia degli studiosi. Un lavoro esemplare è stato quello di Nòel Alexandre figlio del primo mecenate dell’artista: Paul Alexander. Ora una nuova scoperta: la collezione personale della coppia , conservata da Jeanne Hebuterne quand’era ancora in vita e passata a suo fratello Andrè Hebuterne. Si sono conosciuti all’accademia Colarossi, Jeanne ha solo 19 anni e Modigliani ben 15 in più la relazione fra i due artisti è facilmente immaginabile. Come Modì ha amato e sostenuto Soutine, farà altrettanto per Jeanne. L’emozione, la finezza, il talento che si sprigionano dalle sue opere sono eccezionali. L’arte di Jeanne è in totale fusione con quella del compagno, pur essendo totalmente opposta da punto di vista filosofico e tecnico. Se l’arte di Amedeo non riflette mai su una realtà concreta e si situa fuori dal tempo, quella di Jeanne presenta, al contrario ,una realtà quotidiana: gli interni della loro vita domestica, le vedute dello studio, gli oggetti posti sul tavolo. Ciò che viene oggi presentato non è che una parte dell’opera di Jeanne, uno studio esaustivo e un’analisi più approfondita porteranno a una pubblicazione più completa. Il pubblico italiano, grazie a queste sezione e alle numerose opere inedite della coppia qui presentate per la prima volta potrà avere una visione allargata degli ultimi tre anni di vita del nostro Modì.
1906-20 si svolge in questo breve lasso di tempo la carriera artistica della meteora, soprannome coniato da Guillaume. Nell’arco di 14 anni Modì realizza quasi 400 dipinti, innumerevoli disegni e una ventina di sculture, di cui soltanto tre giungono allo stato definitivo della patina.
I due eventi più importanti dell’artista saranno promossi dal terzo mecenate Zborowsky, subentrato a Gullaime. Nel 1917 la prima grande mostra personale nella galleria di Beatrice Weill e nel 1919 alla Hill gallery di Londra, esporrà dieci tele.
Ancora aneddoti delineano la vita personale. Questa volta il protagonista è Costant Lepoutre corniciaio e fornitore di materiali per artisti. Era rimasto affascinato dalle opere di Modigliani, visionate alla mostra inaugurale dell’associazione Lyre et Palette, organizzata nel ’16 da Kisling e Otis de Zarate nello studio del pittore Emile Lejeune. Colpito dal talento dell’artista e sapendo delle sue difficoltà finanziarie, decide di aiutarlo. Qualche settimana dopo Modì si estasiava “mi fornisce i materiali e anche i modelli. Mi dà ogni volta 20 franchi, e sul tavolo c’è sempre un quartino di rum. Lepoutre è un gentleman”
Il pittore chiese al conciaio di posare per lui, un modo per ringraziarlo del prestito dei 60 franchi, ma il ritratto non fu apprezzato dalla famiglia, in particolare perché l’aveva ripreso con il berretto e la giacca da lavoro, definendone quindi l’occupazione, l’opera finì nelle mani di Zboroswky che riuscì stranamente a venderla subito per 100 franchi.
Louris Laurette riporta i dubbi che il giovane Modì, appena giunto in Francia manifestava:”E’ il mio maledetto occhio di italiano che non riesce ad abituarsi alla luce di Parigi… Una luce così avvolgente.. riuscirò mai a coglierla? Non puoi immaginare i nuovi temi che ho in mente, in viola, in arancio, ocra scuro.. forza lascia perdere queste fesserie… Non ci siamo! Questa roba sembra Picasso, ma venuto male.. Picasso prenderebbe a calci quest’orrore!”. Dubbi e perplessità lacereranno l’anima di Modigliani, distrutto dall’insoddisfazione di non vedere mai la fama mentre la maggior parte dei suoi compagni riescono nell’impresa.
“aveva la testa di Antinoo e gli occhi dalle scintille d’oro, non assomigliava assolutamente a nessuno al mondo. La sua voce mi è rimasta sempre nella memoria. Lo sapevo povero e non si capiva di che vivesse: come artista nemmeno l’ombra di un riconoscimento”. Con queste parole lo ricorda la poetessa russa Anna Achmatova, che lo conobbe nel 1910, durante il proprio viaggio di nozze a Parigi, e che il pittore ritrasse più volte. Debole di costituzione e dandy per vocazione Amedeo Modigliani incarna perfettamente, con la sua vita bohémienne, la figura dell’artista maledetto, anticonformista e antiborghese.
I vari ricordi contribuiscono a delineare un artista in bilico tra genio e sregolatezza, del tutto ignorato e incompreso. A parte alcuni nudi il genere dominante è quello del ritratto, colto frontalmente, in un’attitudine quasi sacrale, da icona bizantina o da Maestà trecentesca. In seguito alla splendida enigmatica parentesi scultorea, il suo lavoro di pittore si affida sempre di più alla sottrazione e alla sintesi. Liberato da ogni funzione accessoria o descrittiva, il colore assume, soprattutto a partire dal 1914, un ruolo puramente costruttivo e strutturale, e l’immagine si basa in modo sempre più esclusivo sull’accordo calibrato delle aree cromatiche. Ecco allora che il pittore maledetto, vittima dei suoi eccessi, si rivela un appassionato e instancabile ricercatore, un uomo estremamente colto, esperto di letteratura e filosofia, nutrito di vastissime letture e feconde frequentazioni artistiche e culturali. La mostra costituisce dunque l’occasione ideale per rivisitare nel modo giusto l’opera di un protagonista dell’arte moderna, tanto leggendario quanto, in fondo, molto poco conosciuto.
Modigliani, l’angelo dal volto severo
17 Settembre 2007 Di